giovedì 16 gennaio 2014

EGITTO: Nuova Costituzione: IL SILENZIO DEI GIOVANI

Nuova Costituzione: il silenzio dei giovani premia al-Sisi

Fonte :  ISPI 
Commentary di Francesca Paci
Giovedì 16 gennaio 2014

Tornato alle urne per la sesta volta in tre anni, l’Egitto avrà tra pochi giorni una nuova Costituzione che sostituisce quella a forte impronta islamista approvata poco più di un anno fa dal deposto nonché legittimamente eletto presidente Mohammed Morsi. Ma più che sui 247 articoli messi a punto a dicembre da una Commissione di 50 membri, il referendum chiedeva l’approvazione del paese sull’operato del ministro della Difesa al-Sisi, architetto del golpe popolare dell’estate scorsa e della successiva messa al bando dei Fratelli musulmani. Difficile immaginare infatti che laddove l’analfabetismo è intorno al 38% la lettura ragionata della Costituzione – con luci e ombre, parità dei sessi, diritti civili, bando dei partiti religiosi, ma anche la possibilità di processi militari ai civili – diventi improvvisamente l’attività principale del tempo libero.
I generali hanno chiesto dunque carta bianca per guidare l’ennesima transizione dopo essere finiti nelle mire dei rivoluzionari nelle settimane successive alla caduta di Mubarak proprio per essersi intitolato il passaggio di poteri. Una duplice vendetta in qualche modo, verso i da sempre nemici Fratelli musulmani e, ma anche verso, l’indomita piazza Tahrir, troppo lesta nel 2011 a smettere di tirare fiori ai carri armati e passare ai sassi.
La risposta dell’Egitto, da settimane preda di una sorta di Sisi-mania che moltiplica le immagini del generale dai cioccolatini alle lattine di olio per cucinare, era prevedibile. Sebbene i risultati non siano ancora ufficiali, pare evidente che il sì abbia vinto massicciamente. Ma è inaspettatamente altrettanto evidente che la partecipazione non sia stata oceanica: in proporzione nulla di comparabile con i milioni di persone (si dice fino a 30 milioni) che il 30 giugno scorso invasero il paese chiedendo di fatto ai militari un intervento contro gli islamisti al potere.
Solo pochi giorni fa il generalissimo al-Sisi spiegava che si sarebbe candidato solo in presenza di una fortissima investitura popolare, lasciando andare nel frattempo avanti avversari assai più deboli come il collega Sami Anan, Amr Moussa, l’ex premier di Mubarak Shafiq, l’ex Fratello musulmano Aboul Fotouh. Secondo gli analisti, l’uomo al momento più potente dell’Egitto aspetterebbe i risultati del referendum per accreditarsi la legittimità di quello che i pro Morsi chiamano “golpe sanguinario” (oltre mille dimostranti sono stati uccisi negli ultimi 5 mesi) e i governativi “seconda rivoluzione”. Sebbene i media ufficiali parlino di enorme affluenza referendaria con il 95% dei sì, fonti meno militanti ipotizzano che il dato potrebbe essere intorno al 42%, superiore rispetto al 33% con cui passò nel 2012 la Costituzione voluta dai Fratelli musulmani (i sì furono il 66%), ma non travolgente. Cosa è accaduto?
Mentre gli osservatori internazionali, tra cui il Carter Center, denunciano irregolarità e forti pressioni per votare a favore (ma anche intimidazioni per impedire l’accesso alle urne) e un rapporto di One World Foundation suggerisce che una gran parte degli egiziani si sia espressa per consegnarsi all’esercito senza aver neppure letto la Costituzione (non diversamente dunque da come avevano fatto poveri e analfabeti con i Fratelli nel 2012), le persone in coda ai seggi (in maggioranza almeno over 40) dicono che hanno votato i copti, la classe media, gli imprenditori economicamente esangui a causa dell’instabilità, molte donne, ma che invece i giovani, anima del 25 gennaio 2011, sono rimasti a casa.
Al di là dei pro Morsi che invitavano al boicottaggio per protestare contro il regime sotto cui sono già stati imprigionati 11 mila membri della Fratellanza (compresa l’intera leadership), i rivoluzionari liberal e moderati, compatti a giugno contro la “despotica democrazia” dei Fratelli musulmani, sono oggi spaccati. Tanti, consapevoli di rischiare il passaggio dalla padella alla brace, ammettono di non aver scelta e di preferire un “fascismo militare” , a questo punto possibile, “fascismo militare” allo sperimentato “fascismo islamico”. Tanti altri invece, dopo mille mal di pancia, hanno deciso di non votare o di votare no, non tanto contro la Costituzione (da quasi tutti giudicata buona) ma contro la svolta autoritaria dell’esercito che, per esempio, ha fatto approvare al governo a interim una durissima legge contro le manifestazioni non organizzate in base alla quale nelle settimane scorse sono stati incarcerati numerosi attivisti non legati ai Fratelli musulmani ma avversi al golpe (tra loro alcuni membri del Movimento 6 aprile).
A tre anni dalla fine del regime di Mubarak, l’Egitto sembra ancora stritolato nel vecchio muro contro muro, esercito (che controlla circa un terzo dell'economica) contro islamisti (che controllano, o controllavano, la parte delle campagne povere e analfabete e che ha il suo zoccolo duro nella piccola e media borghesia). Con l’aggiunta gravissima di un perdurare dell’incertezza che ha prodotto il tracollo del turismo, l’impennata della disoccupazione, un’economia esangue tenuta in vita solo dai soldi del Golfo (specialmente Arabia Saudita e Kuwait in chiave anti Qatar) e il parziale isolamento da parte di una comunità internazionale ostile al golpe (gli Stati Uniti starebbero però scongelando i 1,5 miliardi di dollari sospesi a ottobre per protesta). Per questo l’egiziano medio ha partecipato al referendum, sperando che arrivi “un uomo forte” a salvare il paese dal caos.
Ma non è affatto detto che la storia finisca qui. E non solo perché entro sei mesi ci saranno le elezioni presidenziali e poi quelle parlamentari, al termine delle quali l’esercito, giura, ormai sempre meno persuasivamente, che la road map e il proprio ruolo sarà finito. I giovani (e anche qualche meno giovane) che hanno voluto la cacciata di Morsi, il secondo Faraone in un paese che non vuole tollerarne più, si sono fatti da parte disertando il referendum, né con gli islamisti né con i loro autoritari nemici, una terza posizione che è ancora immatura ma che potrebbe avere in sé i semi di un passo avanti.
Francesca Paci, giornalista de La Stampa.

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